Magda Minotti
Sua Maestà la Rosa
“Maj ti saludi cul sprofum che emet
fûr la nature che cun te si svee,
cul butulut che al va formant la fuee
e la rosute in mieç come un macet”.
P.Piani.: “Maggio d’Amore”
“Tu sês stade la mê rose,
ti ai puartade sul mio sen ;
simpri a ti, bocjute dolce,
jo ti ai simpri volût ben!”
da villotta tradizionale
““Ma se o torni di chês bandis
vuei puartai un façolet
dut a rosis di montagne,
che i confessin il gno afiet”
da villotta tradizionale
ROSIS
Rosis, rosis e rosis,
par tè, par mè, e rosis sul altàr
dal nestri amòr, bambine!
Rosis, rosis e rosis,
cioltis su te rosade de matine
quanche ‘l mont dai poltròns ancemò ‘l duar!
Rosis di sanc, bambine, une belezze!
E tu tu às di vaî di contentezze
a ciapâlis in don,
cussì bielis che son!
Rosis, rosis e rosis!
‘E disin che i poèz ‘e son duc’ maz
parcè che no domandin ne tesaurs,
ne onòrs, ne campagnis, ne palàz,
ma si contentin, vè, di quatri rosis,
di doi voi, come i tiei, tant birichins
e di dos bielis mans
che ti passin cidinis sul zarneli,
e puartin vie cun sé i pinsìrs malsàns.
Bambine, ‘e son lis ùltimis
rosis colòr di sanc,
rossis come ‘l sorèli
c’al va a mont, maestôs, a planc a planc.
Rosis, rosis e rosis,
par tè, par mè,pel nestri amòr, bambine.
O bute, bute, bute
senze nissùn riuart ché lagrimute
che jè spontade lampide e cidine
tal to voli, o bambine.
E squint il ciâf tes rosis,
rossis, fres’cis e vivis
cioltis su te rosade de matine
dal to poete c’al ti ul ben, bambine!
Giovanni Lorenzoni (1884-1950)
ed ancora
“Se un frutin ti bagne,
e je… aghe di rosis!”
“Al è fresc come une rose:
un butul di rose”
ma anche:
“Dutis lis rosis a van in fen!”
Per i sentimenti più profondi, per i simbolismi che suscita, la rosa è stata da sempre definita la “regjine dai flôrs” ed associata anche alla Madonna: “Rose des rosis”.
Come afferma l’Ostermann nella sua “Vita in Friuli” le rose, con il loro muto linguaggio, rappresentavano nella “scjarnete”, esclusivamente la Bellezza.
La “scjarnete” , fiorita notturna del mese di maggio, consisteva nel coprire la strada che portava sino all’abitazione delle ragazze da marito con erbe, fiori, piante od altro, il cui significato simbolico popolare, era ben preciso e codificato.
La “sciarnete”, quindi, era una specie di “slogan pubblicitario” che richiamava allusioni erotiche o dichiarazioni d’amore, o…
Il sambuco (saût), ad esempio, voleva dire che la ragazza era antipatica, la segala (siale) che era…bruscosa in faccia o le occorreva la purga, la caligine (cjalin) e l’erba medica (jerbe mediche) ne rappresentavano la dubbia moralità ed i pessimi costumi.
E mentre le altre erbe o fiori assumevano, in questa usanza, un significato diverso da paese a paese, la rosa rappresentava sempre e per tutti, come abbiamo visto, un omaggio alla bellezza non solo fisica.
I nostri vons, ricordando quanto appreso dalle tradizioni credevano, inoltre, che la Rosa canina, comunissima negli incolti, ai margini delle strade di campagna e di collina (Garoful o Rose di strie, Rose-selvadie i cui frutti sono chiamati Picecûl, Forecûl), fosse usata esclusivamente dalle streghe per le loro malie, dalle quali ci si poteva proteggere con un altro tipo di rosa, quella gallica (rose-di mai o Rose- di- chine), vero antidoto contro il malocchio.
Essi, comunque, incuranti della spaventosa credenza usavano egualmente, per combattere la rabbia, le radici della Rosa canina (forse, da qui il nome…).
I suoi petali essiccati, inoltre, mescolati ad una piccola quantità di jerbe sene (senna), infusi in acqua bollente, erano un efficace purgante contro l’intestino pigro, ma anche contro ogni malessere, soprattutto quello dei bambini.
I più anziani tra di noi, senz’altro, ricordano questo strano “medicamento”, sempre presente nella farmacopea casalinga, che veniva dato ai fruts per combattere ogni indisposizione: la purga.
Era questa la medicina più importante perché con essa si combatteva tutto, mal di pancia, raffreddore, brufoli, febbre, bruciori di stomaco…
La Jerbe sene, “edulcorata” con la gentile rosa che alle streghe aveva carpito il segreto sull’ importanza di diliberâ prime di dut i budiei, erano il mezzo per una guarigione… garantita.
Al di là delle nostre tradizioni, prediletta dagli uomini, la rosa è sempre stata simbolo della Bellezza e, fin dall’antichità, fu presente nei riti, nelle gioie e nelle avversità, quale fiore al quale s’è voluto attribuire un’origine divina .
I Greci, infatti, pensavano che la rosa (quella bianca), fosse nata nello stesso giorno e dalla stessa schiuma (aprhròs) del mare di Cipro da cui nacque la dea Afrodite, la Venere romana. E mirto e rose cingevano quel corpo bellissimo.
Il Botticelli nella “Nascita di Venere”, rappresenta la dea che sorge dalle acque accompagnata da una pioggia di rose che ne rappresentano la bellezza divina, ma anche il sacro sposalizio da lei “suscitato” fra il Cielo e la Terra.
Secondo un’altra leggenda, la rosa nacque in una notte di luna piena dal sangue di un usignolo che si era ferito in una macchia di spini, mentre scioglieva i suoi canti d’amore.
Si narra ancora che Bacco, mentre stava inseguendo una giovane Ninfa, trovò lo sbarramento di un roveto spinoso che, toccato con una verga magica, si trasformò in migliaia di rose rosse, come rosse erano le guance della Ninfa che tentava di sottrarsi al dio del vino e della follia.
Ma anche nei culti di Bacco, il Dionisio greco, dio dell’entusiasmo e del vino, si era soliti coronarsi di rose poiché si credeva che esse calmassero gli effetti del vino, appunto, e, quel che più importava, si era certi che avessero la proprietà di preservare gli ubriachi dal rivelare i loro segreti.
Per tale motivo questo fiore è ritenuto anche simbolo di riservatezza. Quelle semplici, a cinque petali come la rosa canina (considerata la “madre” delle rose i cui petali, a prescindere dal tipo, saranno sempre un multiplo di cinque) erano, in era cristiana, un ornamento a volte intarsiato nel legno dei confessionali detti, appunto, “sub rosa”, cioè luoghi sotto il sigillo del silenzio e della discrezione.
I suoi cinque petali divennero anche il simbolo delle cinque piaghe di Cristo sulla croce e, quindi, essa fu riprodotta nell’iconografia della Passione dove l’intreccio dei suoi rami spinosi, rappresentava la corona di spine che cingeva il capo del Salvatore.
La festa delle rose o Rosalia, veniva celebrata tra l’undici maggio ed il quindici luglio e, di questa festa pagana, c’è ancora qualche traccia in alcune nostri paesi dove, la domenica di Pentecoste viene chiamata, appunto, “Pasqua delle Rose” o anche “Pasqua rosada”.
La cerimonia molto suggestiva, s’ispira a quella che i papi celebravano sin dall’alto medioevo e, cioè, far cadere dalla cupola sui fedeli, mentre s’intonava il ”Veni Creator Spititus”, una pioggia di petali e di rose e persino batuffoli di stoppa accesa, che simboleggiavano le lingue di fuoco della discesa dello Spirito Santo.
Nei giardini dei paesi dell’area tedesca, non mancano mai le rose di Pentecoste, le “Pfingstrosen” simbolo, appunto dei due giorni,domenica e lunedì, legati a questa festa.
Dalle Odi di Anacreonte e di Orazio, si sa anche che nell’antica Roma, si usavano le rose nelle feste sia pubbliche, sia private ed anche nei funerali.
I romani, infatti, credevano che ornare di rose le tombe, fosse cosa molto gradita agli dei Mani, ossia alle anime dei trapassati divinizzate ed onorate con offerte di fiori, libagioni e cibarie.
Per questo motivo, i personaggi facoltosi lasciavano, per testamento, i loro giardini da coltivarsi a rose che si sarebbero dovute cospargere con abbondanza sulle loro tombe, nell’anniversario della loro morte.
I petali di questo fiore, probabilmente, erano considerati simbolo della prodigalità della natura e della transitorietà della vita e dei suoi piaceri, proprio come scriveva negli “Idilli” Decimo Magno Ausonio, nel IV° secolo:
“Un unico giorno abbraccia la vita della rosa,
in un istante essa unisce gioventù e vecchiaia”.
Le rose erano, ancora, le immancabili protagoniste nelle feste e nei convivi.
Con esse i romani si cingevano la testa, il collo ed il petto quando nei banchetti, si stava per gustare i vini più rari, spesso contenenti i petali di questo fiore con cui, peraltro, si erano coperti anche i triclinium.
Le rose, in questo caso, erano simbolo della prodigalità della natura.
E in quest’ottica esse erano ingrediente essenziale di alcuni piatti della culinaria romana come descritto da Apicio nel suo libro, pietra miliare anche della cucina aquilejese “De re Coquinaria”. Tra i suoi piatti, annoverava un soufflé (patina) alle rose la cui ricetta è riportata ne “A tavola con i Romani” – Aquileia romana- di S. Scarel e che, forse, non è proponibile ai nostri giorni.
Pare che anche gli Egiziani fossero affascinati da questo fiore ed essi, credendo di fare all’imperatore Domiziano un favoloso presente gli inviarono, in pieno inverno, una quantità indicibile di rose…
E’ certo, inoltre, che anche i primi cristiani continuarono ad usare le rose per coronarsi, tanto che l’uso di questi fiori fu introdotto nelle chiese e , a poco a poco, esse divennero anche per loro un simbolo.
Pare che santa Dorotea riuscì a convertire lo scrittore pagano Teofilo, solo per avergli fatto dono di un mazzo di questi fiori regali che “ rappresentano” infiniti messaggi.
Considerata da sempre la regina dei fiori, la rosa s’intreccia con la storia dell’uomo in ogni sua manifestazione che sia arte, letteratura, miti, fiabe, leggende e non solo.
Sinonimo di bellezza, di profumo, grazia e fragilità, essa rappresenta l’emblema universale dell’amore che, dapprima contrastato dalla Chiesa per il suo significato profano, a poco a poco, divenne il simbolo di Maria, Regina del Cielo.
Sin dal XIII° secolo la Madonna fu associata sia alla rosa, che assunse diverso significato a seconda di come si presentava, sia a maggio, mese dello sbocciare esplosivo di questi fiori.
La rosa senza spine divenne simbolo dell’Immacolata Concezione, mentre la Vergine con Gesù in braccio, spesso rappresentata in un giardino di rose, quasi sempre bianche, fu il simbolo della verginità e della purezza.
Rose e gigli sono presenti nell’iconografia della nascita o dell’assunzione in cielo della Madonna, mentre la rosa d’oro ai suoi piedi (ricordiamo la Madonna di Lourdes), rappresenta l’amore, la perfezione, la regalità poiché questo metallo prezioso, inalterabile ed incorruttibile, simboleggia l’immutabilità, la perfezione e l’eternità.
La Vergine, chiamata anche Rosa Mystica perché non ha peccato nemmeno nel concepire il Bambino, fu celebrata da Alfonso X° il Saggio, re di Castiglia e Leòn, nelle “Las cantigas de Santa Maria”, con questi versi:
“Rosa delle rose, Fiore dei fiori,
Donna fra le donne, unica Signora,
Tu luce dei Santi e dei Cieli via”.
L’iconografia ecclesiastica considera la rosa il simbolo concreto e tangibile dell’amore terreno ma, reputandola anche regina dei fiori, la consacrò simbolo della Vergine Regina celeste che fu spesso raffigurata, come già accennato, “nel roseto”.
Nel Medioevo, solo le ragazze vergini potevano ornarsi il capo con ghirlande di rose bianche simbolo, appunto, della verginità .
In onore di Rosa- Maria si iniziò dal XII° secolo, a recitare il Rosario (Rosarium è la parola latina che significa rosaio. Pregare con il rosario, quindi, significa costruire simbolicamente un rosaio in onore di Rosa-Maria Vergine) che, inizialmente, si chiamava Salterio mariano.
Il rosario si ispirava alle corone di rose di cui si parla in una leggenda che vede l’Arcangelo Gabriele in persona intrecciare con 150 rose, tre corone per la madre del Salvatore.
La prima era di fiori bianco-argentei per ricordare la fanciullezza di Gesù, la seconda di rose rosse che ne ricordavano la Passione ed una terza di rose dorate per esaltare la Glorificazione di Maria e di Cristo stesso.
Pio V° nel 1571, diede maggiore diffusione alla pratica del Rosario quale ringraziamento alla Vergine che aveva permesso, nella battaglia di Lepanto, il 7 ottobre di quello stesso anno, la vittoria della flotta cristiana contro quella turca.
E tutt’oggi , in questo giorno, si celebra la festa del Santissimo Rosario, voluta da Gregorio XII° fin dal 1573.
Per la sua struttura concentrica che ricorda il cerchio, il sole e la ruota, simbolo del tempo che scorre, dell’eterno ciclo vita- morte- vita, anche l’Oculo delle chiese romaniche o il rosone di quelle gotiche, avrebbero avuto origine, da quanto suggeriscono, anche dai petali della rosa intorno allo stame.
Le rose, simbolo del mese di maggio, sono i fiori associati a Santa Rita ,festeggiata il 22 maggio.
Pare che, in un inverno molto rigido degli ultimi anni della sua vita, Rita avesse chiesto ad una sua cugina, che si era recata a farle visita, di andare nell’orto a raccogliere una rosa.
Possiamo immaginare quale fossero i pensieri della parente che, uscita per accontentare Rita molto ammalata, vide tra il biancore della neve, una splendida rosa fiorita.
Raccoltala, quella rosa fu “donata” al Crocefisso a cui la santa era particolarmente devota.
Altra tradizione legata a questo fiore e la cui origine risale a papa Leone IX° (1048), è quella della Rosa d’oro, benedetta solennemente ogni anno al Laetare Jerusalem della Messa nella prima domenica di Quaresima detta, appunto, Domenica della Rosa.
Questo prezioso dono era offerto dal papa, come simbolo di riconoscenza, ai sovrani o ai dignitari benemeriti nei confronti della Chiesa.
Ciò avvenne sino al 1759 e da quell’anno e sino al 1937, questo fu un dono riservato esclusivamente alle regine.
Le ultime rose d’oro furono quelle donate nel 1923, alla regina di Spagna, Vittoria Eugenia, nel 1925 a Elisabetta del Belgio e, per finire, l’ultima (1937) alla regina Elena d’Italia.
La rosa rossa, nella simbologia cristiana, è simbolo dell’amore divino, delle piaghe e del sangue versato da Cristo sulla croce ed è spesso presente nelle scene della Crocifissione o, è attribuita ai martiri.
Quelle bianche, simbolo della Vergine e anche dei santi non martirizzati, erano associate anche alla morte, mentre le rose color rosa, simbolo di regalità femminile, accompagnano spesso la Vergine, i santi e le sante, i vescovi e gli angeli.
Quelle appena rosate, invece, ricordando la delicata pelle al momento della sua nascita, rappresentano il Bambin Gesù,
Se le rose sono gialle, si riferiscono ai Re Magi e, se sono dorate, o meglio un rametto di rose d’oro, sono, dal Medioevo in poi, simbolo di Cristo.
Anche le spine della rosa hanno la loro “proprietà” e, come predicò sant’Antonio da Padova, esse rappresentano il pungere sì, ma pure il piacere di cogliere anche il profumo del fiore.
Allo stesso modo, continuava il santo, nella vita di ciascuno di noi c’è la spina della sofferenza e la gioia della santità.
”Non c’è rosa senza spine,
così avviene anche nelle cose del mondo,
i pii sono mescolati ai malvagi,
e mentre i primi sanno di essere il popolo del Signore,
gli altri dovranno bruciare”.
Così si esprimeva il poeta W.H. von Hohberg nel 1675 mentre, invece, Bockler nel 1688, parlando della rosa dice che:
”I fiori indicano segretamente una condizione positiva piena di gioia e di speranza, che i posteri perpetueranno in quanto eredi della virtù dei padri e che conserveranno agendo sempre rettamente.
Fra i fiori, alle rose fu attribuita dignità regale poiché significano ristoro, generosità e riservatezza.
In ogni storia le rose rosse sono legate al sangue che ognuno deve versare per la libertà, per la Patria e per la Chiesa.
Simile a una rosa rossa, giunge potente la benedizione divina che rafforza e fortifica, e il condottiero deve essere sempre pronto a versare il proprio sangue.
La rosa è sempre stata un’onorificenza di guerra fin dalla tradizione romana, secondo la quale Marte nacque da una rosa”.
Infiniti ancora i riti religiosi, le feste e la letteratura che ricorda la rosa: curioso è vederla protagonista della politica.
Questi fiori, simbolo dei partiti che in Inghilterra identificarono gli York (rosa bianca) ed i Lancaster (rosa rossa), diedero il nome al conflitto che li vide protagonisti dal 1450 al 1485 della guerra, appunto, delle Due Rose.
Anche il parlamento di Parigi, da aprile a giugno, riceveva rose dai Duchi, Pari e Principi, obbligati a far ciò da una antica convenzione.
Il Pari destinato a fare da cerimoniere, doveva spargere di rose tutte le stanze del Parlamento prima dell’arrivo dei Presidenti, dei Consiglieri, dei Cancellieri di corte ai quali, peraltro, dovevano essere offerti mazzi di questi fiori naturali o di loro imitazioni di stoffa, che erano acquistati esclusivamente dal Rosiere della Corte.
Pare che, per tale fornitura, sotto il regno di Francesco I° (seconda metà del 1500), si fosse originata una disputa al termine della quale, si stabilì che il fornitore di rose per il Parlamento, doveva essere un principe di sangue reale.
Pure il Brasile non fu immune dal fascino di questo fiore e nel 1829 (17 ottobre), in occasione del suo matrimonio con Eugenia Napoleone, figlia del principe Eugenio Beauharnais, l’imperatore Don Pedro I°, istituì l’Ordine cavalleresco della Rosa che, richiamando la gioventù e la bellezza della nuova imperatrice, ebbe per motto:
“Amor et Fidelitate”.
Le rose avevano, però, anche il lato negativo.
Pare, infatti, che Maria de’ Medici le odiasse tanto che non voleva vederle nemmeno dipinte e che il cavaliere di Guisa, al solo sentirle nominare, svenisse.
Il medico Ladelins, inoltre, parlava di un popolano che, per non provare violenti malesseri causati anche dal più leggero profumo di questi fiori, era costretto a non uscire da casa per tutto il tempo della loro fioritura.,
Si dice ancora che il profumo di grandi quantità di rose in luoghi chiusi, procurassero malattie e persino la morte di più persone.
Il nome della rosa, probabilmente, deriva dal celtico rhodd o rhud, cioè rosso, da cui derivò quello greco rhodon e da questi nomi, secondo Varrone, poi, trasse origine la parola latina rosa.
Questi fiori, presenti con le loro innumerevoli specie in ogni parte della terra, furono paragonate da Virgilio, negli anni 70 avanti Cristo, ad altrettante Ninfe che, pur se simili nei lineamenti come sorelle, sono diverse nei particolari e non si possono confondere tra di loro.
Le rose sono considerate piante officinali perché svolgono un’azione tonica ed astringente (acqua di Rose), perché servono ad ottenere il miele rosato ottimo nelle affezioni della bocca e delle gengive o per la loro proprietà diuretica ed antiscorbutica dovuta alla grande quantità di vitamina C dei suoi frutti (piçecui), con cui si possono preparare marmellate, liquori, gelatine…
E’ sorprendente come l’uomo attribuisca, di là della simbologia cristiana, tanto valore allegorico ai fiori e alla rosa, secondo il suo colore e il suo aspetto.
Eccone alcuni esempi:
Rosa di Banks = Bellezza nel riso e nel pianto;
Rosa del Bengala o
delle quattro stagioni = Compostezza nell’anima , Bellezza nella prospera e nell’avversa fortuna, Felicità rinnovata;
Rosa bianca = Silenzio, Mistero, Segretezza, candore ed Innocenza;
Rosa borraccina
(con petali dentellati) = Bellezza capricciosa;
Rosa canina = Indipendenza, Poesia;
Rosa Cannella = Maturità precoce;
Rosa Cappuccina = Splendore, Pompa;
Rosa centifoglia = Grazia e Leggiadria;
Rosa di Cina = Conciliazione;
Rosa gallica = Semplicità e Letizia;
Rosa gialla = Vergogna, Infedeltà;
Rosa muschiata = Caducità della Bellezza;
Rosa multiflora = Fecondità;
Rosa dai petali verdi = Speranza;
Rosa pompon = Cortesia;
Rosa thea = Gentilezza;
Rosa variegata = Amore tradito.
LA ROSA PER…:
- Omero diceva che la dea del mattino, Aurora, ad ogni alba colorasse il mondo con le sue dita di rosa.
- Dante, paragonava l’intensità e la bellezza dell’amore paradisiaco al centro di una rosa.
- Shakespeare affermava che: “Una rosa con un altro nome avrebbe il medesimo profumo”
LA ROSA IN CUCINA
La rosa, la regina dei fiori che è divenuta il simbolo del mese di maggio e, qualsiasi sia il suo tipo, colore, essa suscita sempre sentimenti profondi non solo legati alla bellezza.
Gli antichi romani la consideravano un fiore molto gradito agli dei Mani, le anime dei trapassati divinizzate e sentitamente onorate con libagioni, con cibarie, con offerte di fiori tra cui primeggiava la rosa.
Per questo motivo, i personaggi facoltosi, per testamento, stabilivano che i loro giardini dovevano essere coltivati a rose da cospargere con abbondanza sulle loro tombe, nell’anniversario della loro morte: la rosa, il simbolo della prodigalità della natura, ma anche della transitorietà della vita e dei suoi piaceri.
Tra essi, nel mondo romano, quello del palato che si era, nel tempo, arricchito di sapori e di gusti e facendo proprie ricette provenienti dal suo immenso impero.
E così accadeva anche per Aquileia “la seconda Roma” che, certamente, non si sottraeva a nuovi sapori e prelibatezze.
Le rose erano, ancora, erano le immancabili protagoniste nelle feste e nei convivi.
Con esse ci si cingeva la testa, il collo ed il petto quando nei banchetti, si stava per gustare i vini più rari , spesso contenenti i loro petali con cui, peraltro, si erano coperti anche i triclinium.
Ma le rose, come del resto altri fiori tra cui le viole e la lavanda, furono ingredienti importanti in cucina e, come descritto da Apicio nel suo libro “ De re coquinaria”, erano usate non solo per aromatizzare il vino o l’aceto …
Anche la cucina aquileiese , tra i suoi piatti, annoverava un soufflé (patina) alle rose la cui ricetta, scritta da Apicio, è riportata ne “A tavola con i Romani” – Aquileia romana- di S. Scarel e che, forse, non è proponibile ai nostri giorni.
Ma torniamo a ricette più vicine ai gusti attuali.
Siamo a maggio e, quindi, vorrei proporre un piatto molto semplice ma veramente gustoso, pur se delicato, che si rifà all’uso della rosa in cucina.
Indorare una noce di burro in cui si fa soffriggere, con la buccia grattugiata del limone (solo la parte gialla), il petto di pollo tagliato a listarelle molto sottili, leggermente infarinate.
Dopo qualche minuto salare le listarelle che saranno ormai quasi dorate, annaffiarle con un buon tocai e, volendo, aggiungere pepe bianco di Caienna, appena macinato.
Mentre il vino sta evaporando a fuoco vivo, aggiungere una manciata di petali di rose (una rosa o quattro roselline per ogni petto di pollo) accuratamente lavati.
Mescolare delicatamente e servire su crostoni di pane caldo, accompagnando il tutto con un ottimo sauvignon dai sentori floreali.
Gustiamo la primavera in tavola:
un omaggio raffinato di “Sua Maestà la Rosa” che diletta, meravigliandoci ancora, anche il nostro palato.
Che dire?
La rosa è una vera regina.
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