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di Magda Minotti

Magda Minotti        

 

Sua Maestà la Rosa

“Maj ti saludi cul sprofum che emet
fûr la nature che cun te si svee,
cul butulut che al va formant la fuee
e la rosute in mieç come un macet”.

P.Piani.: “Maggio d’Amore

 

“Tu sês stade la mê rose,
ti ai puartade sul mio  sen ;
simpri a ti, bocjute dolce,
jo ti ai simpri volût ben!”


da villotta tradizionale

 

““Ma se o torni di chês bandis
vuei puartai un façolet
dut a rosis di montagne,
che i confessin il gno afiet”


da villotta tradizionale

 

ROSIS

Rosis, rosis e rosis,
par tè, par mè, e rosis sul altàr
dal nestri amòr, bambine!

Rosis, rosis e rosis,
cioltis su te rosade de matine
quanche ‘l mont dai poltròns ancemò ‘l duar!

Rosis di sanc, bambine, une belezze!
E tu tu às di vaî di contentezze
a ciapâlis in don,
cussì bielis che son!

Rosis, rosis e rosis!
‘E disin che i poèz ‘e son duc’ maz
parcè che no domandin ne tesaurs,
ne onòrs, ne campagnis, ne palàz,
ma si contentin, vè, di quatri rosis,
di doi voi, come i tiei, tant birichins
e di dos bielis mans
che ti passin cidinis sul zarneli,
e puartin vie cun sé i pinsìrs malsàns.
Bambine, ‘e son lis ùltimis
rosis colòr di sanc,
rossis come ‘l sorèli
c’al va a mont, maestôs, a planc a planc.

Rosis, rosis e rosis,
par tè, par mè,pel nestri amòr, bambine.
O bute, bute, bute
senze nissùn riuart ché lagrimute
che jè spontade lampide e cidine
tal to voli, o bambine.
E squint il ciâf tes rosis,
rossis, fres’cis e vivis
cioltis su te rosade de matine
dal to poete c’al ti ul ben, bambine!

Giovanni Lorenzoni (1884-1950)

ed ancora

“Se un frutin ti bagne,
e je… aghe di rosis!”

“Al è fresc come une rose:
un butul di rose”

ma anche:

“Dutis lis rosis  a van in fen!”

Per i  sentimenti più profondi, per i simbolismi che suscita, la rosa  è stata da sempre  definita la “regjine dai flôrs”  ed associata anche alla Madonna:  “Rose des rosis”.
Come afferma l’Ostermann nella sua “Vita in Friuli” le rose, con il loro muto linguaggio,    rappresentavano nella “scjarnete”,  esclusivamente la Bellezza.
La “scjarnete” ,  fiorita  notturna  del mese di maggio, consisteva nel coprire la strada che portava sino  all’abitazione delle  ragazze da marito con erbe, fiori, piante od altro, il cui significato simbolico popolare,  era ben preciso e  codificato.
La “sciarnete”, quindi, era una specie di “slogan pubblicitario”  che richiamava  allusioni erotiche o dichiarazioni d’amore, o…
Il sambuco (saût), ad esempio, voleva dire che la ragazza era antipatica, la segala (siale) che era…bruscosa in faccia o le occorreva la purga, la caligine (cjalin)  e l’erba medica (jerbe mediche) ne  rappresentavano la dubbia moralità ed i pessimi costumi.
E mentre le altre erbe o fiori assumevano, in questa usanza, un significato diverso da paese a paese, la rosa rappresentava  sempre e per tutti, come abbiamo visto,  un omaggio  alla bellezza non solo fisica.
I nostri vons,  ricordando quanto appreso dalle tradizioni  credevano, inoltre,  che la Rosa  canina, comunissima negli incolti, ai margini delle strade di campagna e di collina  (Garoful  o Rose di  strie,   Rose-selvadie i cui frutti sono chiamati   Picecûl, Forecûl),   fosse usata  esclusivamente dalle streghe per le loro malie,  dalle quali ci si poteva  proteggere  con un altro tipo di  rosa, quella gallica (rose-di mai o Rose- di- chine), vero  antidoto contro il malocchio.
Essi, comunque,   incuranti della spaventosa credenza usavano  egualmente, per combattere la rabbia, le radici della Rosa canina (forse, da qui il nome…).
I suoi petali essiccati, inoltre,  mescolati ad una piccola quantità di jerbe sene (senna), infusi in acqua bollente, erano un efficace purgante contro l’intestino pigro, ma anche contro ogni malessere,  soprattutto  quello  dei bambini.
I più anziani tra di noi, senz’altro, ricordano questo strano  “medicamento”, sempre presente nella farmacopea casalinga,  che veniva dato ai fruts per combattere ogni indisposizione: la purga. 
Era questa  la medicina più importante  perché con essa si  combatteva tutto,  mal di pancia, raffreddore, brufoli, febbre, bruciori di stomaco…
La Jerbe sene, “edulcorata” con la gentile rosa che alle streghe aveva carpito  il segreto sull’ importanza di diliberâ prime di dut  i budiei,  erano  il mezzo per una  guarigione…  garantita.
Al di là delle nostre tradizioni, prediletta dagli uomini, la rosa è sempre stata simbolo della Bellezza e, fin dall’antichità,  fu presente nei riti, nelle gioie e nelle avversità,  quale fiore   al quale s’è voluto attribuire un’origine divina .
I Greci, infatti, pensavano che la rosa (quella bianca),  fosse nata nello stesso giorno  e dalla stessa schiuma (aprhròs)  del  mare di Cipro da cui nacque la dea Afrodite, la  Venere  romana. E mirto e rose cingevano quel corpo bellissimo.
Il Botticelli nella “Nascita di Venere”, rappresenta la dea che sorge dalle acque accompagnata da una pioggia di rose che ne  rappresentano la bellezza divina, ma anche il sacro sposalizio da lei “suscitato” fra il Cielo e la Terra.
Secondo un’altra leggenda, la rosa nacque in  una notte di luna piena dal sangue di un usignolo che si era ferito in una macchia di spini, mentre scioglieva  i suoi canti d’amore.
Si narra ancora che Bacco, mentre stava inseguendo una giovane  Ninfa, trovò lo sbarramento di un roveto spinoso che, toccato con  una verga magica,  si trasformò in migliaia di  rose rosse, come rosse erano  le guance della Ninfa che tentava di sottrarsi al dio del vino e della follia.
Ma anche nei culti di Bacco, il Dionisio greco, dio dell’entusiasmo e del vino,  si era soliti coronarsi di rose poiché si credeva che esse  calmassero  gli effetti del vino, appunto, e, quel che più importava,  si era certi che avessero la proprietà di preservare gli ubriachi dal rivelare i loro segreti.
Per tale motivo questo fiore è ritenuto anche   simbolo di riservatezza. Quelle semplici, a cinque petali come la rosa canina (considerata la “madre” delle rose  i cui petali, a prescindere dal tipo, saranno  sempre un multiplo di cinque) erano, in era cristiana, un ornamento a volte intarsiato nel legno  dei confessionali detti, appunto,  “sub rosa”, cioè luoghi sotto il sigillo del silenzio e della discrezione.
I suoi  cinque petali  divennero anche il simbolo delle cinque piaghe di Cristo sulla croce e, quindi, essa  fu  riprodotta  nell’iconografia della Passione dove l’intreccio dei suoi  rami spinosi, rappresentava la corona di spine che cingeva il capo del Salvatore.
La festa delle rose o Rosalia, veniva celebrata tra l’undici maggio ed il quindici luglio e, di questa festa pagana, c’è ancora qualche traccia in alcune nostri paesi dove, la domenica di Pentecoste viene chiamata, appunto,  “Pasqua  delle Rose” o anche “Pasqua rosada”.
 La cerimonia  molto suggestiva, s’ispira a quella che i papi celebravano sin dall’alto medioevo e, cioè, far cadere dalla cupola sui fedeli, mentre s’intonava il ”Veni Creator Spititus”, una pioggia di petali e di rose e  persino batuffoli di stoppa accesa, che simboleggiavano le lingue di fuoco della discesa  dello Spirito Santo.
Nei giardini dei paesi dell’area tedesca, non mancano mai  le rose di Pentecoste, le  “Pfingstrosen” simbolo, appunto dei due giorni,domenica e lunedì, legati a questa festa.

Dalle Odi di Anacreonte e di Orazio, si sa  anche che  nell’antica Roma, si usavano le rose nelle feste sia  pubbliche, sia  private  ed anche nei funerali.
I romani, infatti,  credevano che ornare di rose le tombe, fosse cosa molto gradita agli dei Mani, ossia  alle anime dei trapassati divinizzate ed onorate con  offerte di fiori, libagioni e cibarie.
Per questo motivo, i personaggi facoltosi lasciavano, per testamento, i loro giardini da coltivarsi a rose   che si sarebbero  dovute cospargere con abbondanza  sulle loro tombe, nell’anniversario della loro morte. 
I  petali  di questo fiore, probabilmente, erano considerati simbolo della prodigalità della natura e della transitorietà della vita e dei suoi piaceri,  proprio  come scriveva negli “Idilli” Decimo Magno Ausonio, nel IV° secolo:

“Un unico giorno abbraccia la vita della rosa,
in un istante essa unisce gioventù e vecchiaia”.

Le rose erano, ancora, le  immancabili protagoniste nelle feste e nei convivi.
Con esse   i romani si cingevano  la testa, il collo ed il petto quando nei banchetti, si stava per gustare i vini più rari, spesso  contenenti i petali di questo fiore con cui, peraltro,  si erano coperti anche i triclinium.
Le rose, in questo caso,  erano simbolo della prodigalità della natura.
E in quest’ottica esse erano ingrediente  essenziale di alcuni piatti della culinaria  romana come  descritto da Apicio nel suo libro, pietra miliare anche della cucina aquilejese “De re Coquinaria”. Tra i suoi piatti, annoverava un soufflé (patina) alle rose la cui ricetta è riportata ne  “A tavola con i Romani” – Aquileia romana-  di S. Scarel  e che, forse, non è proponibile ai nostri giorni.
Pare che anche gli Egiziani fossero affascinati da questo fiore   ed essi, credendo di fare all’imperatore Domiziano un favoloso presente gli inviarono, in pieno inverno, una quantità indicibile di rose…
E’ certo, inoltre, che anche i primi cristiani continuarono ad usare le rose per coronarsi, tanto che l’uso di questi fiori  fu introdotto nelle chiese e , a poco a poco, esse  divennero  anche per loro un simbolo.
Pare che santa Dorotea riuscì a convertire lo scrittore pagano Teofilo, solo per avergli fatto dono di un mazzo di questi fiori regali che “ rappresentano”   infiniti  messaggi.
Considerata da sempre la regina dei fiori, la rosa s’intreccia con la storia dell’uomo in ogni sua manifestazione che sia  arte, letteratura, miti, fiabe, leggende e non solo. 
Sinonimo  di bellezza, di profumo, grazia e fragilità, essa rappresenta   l’emblema  universale dell’amore che, dapprima contrastato dalla Chiesa per il suo significato  profano, a poco a poco, divenne  il simbolo di Maria, Regina del Cielo.
Sin dal XIII° secolo la Madonna fu associata sia alla rosa, che assunse  diverso significato a seconda di come si presentava, sia  a maggio, mese dello sbocciare esplosivo di questi fiori.
La rosa senza spine  divenne simbolo dell’Immacolata Concezione, mentre la Vergine con Gesù in braccio, spesso rappresentata in un giardino di rose, quasi sempre bianche, fu il simbolo della verginità e della purezza.
Rose e gigli sono presenti nell’iconografia della nascita  o dell’assunzione in cielo della Madonna, mentre la rosa d’oro ai suoi piedi (ricordiamo la Madonna di Lourdes), rappresenta  l’amore,  la perfezione, la regalità poiché questo metallo prezioso, inalterabile ed incorruttibile, simboleggia l’immutabilità, la perfezione e l’eternità.
La Vergine, chiamata anche Rosa Mystica perché non ha peccato nemmeno nel concepire  il Bambino, fu celebrata  da Alfonso X° il Saggio, re di Castiglia e Leòn, nelle “Las cantigas de Santa Maria”, con questi versi:

“Rosa delle rose, Fiore dei fiori,
Donna fra le donne, unica Signora,
Tu luce dei Santi e dei Cieli via”.

L’iconografia ecclesiastica  considera la rosa il simbolo concreto e tangibile dell’amore terreno ma,  reputandola  anche regina dei fiori,  la consacrò simbolo della Vergine Regina celeste che  fu spesso raffigurata, come già accennato,  “nel roseto”.
Nel Medioevo,  solo le  ragazze vergini potevano ornarsi il capo con ghirlande di rose bianche simbolo, appunto, della verginità .
In onore di Rosa- Maria si iniziò dal XII° secolo, a recitare il Rosario (Rosarium  è la parola latina che significa rosaio. Pregare con il rosario, quindi, significa costruire simbolicamente un rosaio in onore di Rosa-Maria  Vergine) che, inizialmente, si chiamava Salterio mariano.
Il rosario si ispirava alle corone di rose di cui si parla in una leggenda che vede  l’Arcangelo Gabriele in persona  intrecciare  con 150 rose,  tre corone per la madre del Salvatore.
La prima  era di fiori  bianco-argentei per ricordare  la fanciullezza di Gesù,  la seconda di rose rosse che ne ricordavano la Passione ed una terza di rose dorate per esaltare la Glorificazione di Maria e di Cristo stesso.
Pio V° nel  1571,  diede maggiore  diffusione alla pratica del  Rosario quale  ringraziamento alla Vergine che aveva permesso,  nella battaglia di Lepanto, il 7 ottobre di quello stesso anno, la vittoria della flotta cristiana  contro quella turca.
E tutt’oggi , in questo giorno, si celebra  la festa del Santissimo Rosario, voluta da Gregorio XII° fin dal 1573.
Per la sua struttura concentrica che ricorda il cerchio, il sole  e la ruota, simbolo del tempo che scorre, dell’eterno ciclo vita- morte- vita,  anche l’Oculo delle chiese romaniche o il rosone di quelle gotiche, avrebbero avuto origine, da quanto suggeriscono, anche dai petali della rosa intorno allo stame.
Le rose,  simbolo del mese di maggio, sono i fiori associati a Santa Rita ,festeggiata il 22 maggio.
Pare che, in  un inverno molto rigido degli ultimi anni della sua vita,  Rita avesse chiesto ad una sua cugina, che si era recata a farle  visita, di andare nell’orto a raccogliere  una rosa.
Possiamo immaginare quale fossero i pensieri della parente che, uscita per accontentare   Rita molto ammalata, vide  tra il biancore della neve,  una splendida rosa fiorita.
Raccoltala, quella rosa  fu “donata” al Crocefisso a cui la santa era particolarmente devota.
Altra tradizione legata a questo fiore e la cui origine risale  a papa  Leone IX° (1048), è quella della Rosa d’oro, benedetta  solennemente ogni anno al Laetare Jerusalem  della Messa nella prima domenica di Quaresima  detta, appunto, Domenica della Rosa.
Questo prezioso dono era offerto dal papa, come simbolo di riconoscenza, ai sovrani o ai dignitari benemeriti nei confronti della Chiesa.
Ciò avvenne  sino al 1759 e  da quell’anno e sino al 1937, questo fu un dono riservato esclusivamente alle regine.
Le ultime rose d’oro furono quelle donate nel 1923, alla regina di Spagna, Vittoria Eugenia, nel 1925 a Elisabetta del Belgio e, per finire, l’ultima (1937) alla regina Elena d’Italia.
La rosa rossa, nella simbologia cristiana, è simbolo  dell’amore divino, delle piaghe e del sangue versato da Cristo sulla croce ed è spesso presente nelle scene della Crocifissione o, è attribuita ai martiri.
Quelle bianche, simbolo della Vergine e anche dei santi non martirizzati, erano  associate anche alla morte, mentre le rose color  rosa, simbolo di regalità femminile,  accompagnano spesso la Vergine,  i santi e le sante, i vescovi e gli angeli.
Quelle  appena  rosate, invece,  ricordando la delicata pelle  al momento della sua  nascita, rappresentano  il Bambin  Gesù,
Se le rose sono gialle, si riferiscono  ai Re Magi e, se sono  dorate, o meglio  un rametto di rose d’oro, sono, dal Medioevo in poi,  simbolo di Cristo.
Anche le spine della rosa hanno la loro “proprietà” e, come predicò sant’Antonio da Padova, esse  rappresentano il pungere sì, ma pure il piacere   di cogliere anche  il profumo del fiore.
Allo stesso modo, continuava il santo, nella vita di ciascuno di noi c’è la spina della sofferenza e la gioia della santità.

”Non c’è rosa senza spine,
così avviene anche nelle cose del mondo,
i pii sono mescolati ai malvagi,
 e mentre i primi sanno di essere il popolo del Signore,
gli altri dovranno bruciare”.

Così si esprimeva il poeta W.H. von Hohberg nel 1675  mentre, invece, Bockler nel 1688, parlando della rosa dice che:

”I fiori indicano segretamente una condizione positiva piena di gioia e di speranza, che i posteri perpetueranno in quanto eredi della virtù dei padri e che conserveranno agendo  sempre  rettamente.
Fra i fiori, alle rose fu attribuita dignità regale poiché significano ristoro, generosità e riservatezza.
In ogni storia le rose rosse sono legate al sangue che ognuno deve versare per la libertà, per la Patria e per la Chiesa.
Simile a una rosa rossa, giunge potente la benedizione divina che rafforza e fortifica, e il condottiero deve essere sempre pronto a versare il proprio sangue.
La rosa è sempre stata un’onorificenza di guerra fin dalla tradizione romana, secondo la quale Marte nacque da una rosa”.
Infiniti ancora  i riti religiosi, le feste e la letteratura che ricorda la rosa: curioso è vederla protagonista della politica.
Questi fiori, simbolo dei partiti che in Inghilterra  identificarono gli York (rosa bianca) ed i Lancaster (rosa rossa),  diedero il nome   al conflitto  che li vide protagonisti dal 1450 al 1485 della guerra, appunto, delle Due Rose.
Anche il parlamento di Parigi, da aprile a giugno, riceveva rose dai Duchi, Pari e Principi,  obbligati a  far ciò da una antica convenzione.
Il Pari destinato a fare da cerimoniere, doveva spargere di rose tutte le stanze del Parlamento  prima dell’arrivo dei Presidenti, dei Consiglieri, dei Cancellieri di corte ai quali, peraltro, dovevano essere offerti mazzi di questi fiori naturali o di loro imitazioni di stoffa, che erano acquistati esclusivamente dal Rosiere della Corte.
Pare che, per tale fornitura, sotto il regno di Francesco I° (seconda metà del 1500),  si fosse originata  una disputa  al termine della quale, si stabilì che il fornitore di rose per il Parlamento, doveva essere  un principe di sangue reale.
Pure il Brasile non fu immune dal fascino di questo fiore e nel 1829 (17 ottobre), in occasione del suo matrimonio con Eugenia Napoleone, figlia del principe Eugenio Beauharnais, l’imperatore Don Pedro I°, istituì l’Ordine cavalleresco della Rosa che, richiamando la gioventù e la bellezza della nuova imperatrice, ebbe per motto:
Amor et  Fidelitate”.
Le rose avevano, però,  anche il lato negativo.
Pare, infatti, che Maria de’ Medici le odiasse tanto che non voleva vederle nemmeno dipinte e che il cavaliere di Guisa, al solo sentirle nominare, svenisse.
Il medico Ladelins, inoltre, parlava  di un popolano che,  per non provare violenti malesseri causati anche dal più leggero profumo di questi fiori, era costretto a non uscire da casa per tutto il tempo della loro fioritura.,
Si dice ancora che il profumo di grandi quantità di rose in luoghi chiusi, procurassero malattie e persino la morte di più persone.
Il nome della rosa, probabilmente,  deriva dal celtico rhodd o rhud, cioè rosso, da cui derivò quello greco rhodon e da questi nomi, secondo Varrone, poi,  trasse origine la parola latina rosa.
Questi fiori, presenti con le loro innumerevoli specie in ogni parte della terra, furono paragonate da Virgilio, negli anni 70 avanti Cristo, ad altrettante Ninfe che, pur se simili nei lineamenti come sorelle, sono diverse nei particolari  e non si possono confondere tra di loro.
Le rose  sono considerate  piante officinali perché  svolgono un’azione tonica ed astringente (acqua di Rose), perché servono ad ottenere  il miele rosato ottimo nelle affezioni della bocca e delle gengive o per la loro  proprietà diuretica ed antiscorbutica dovuta alla grande quantità di vitamina C dei suoi frutti (piçecui), con cui si possono preparare marmellate, liquori, gelatine…
E’  sorprendente come l’uomo attribuisca, di là della simbologia cristiana,  tanto valore allegorico ai fiori  e alla rosa, secondo il suo colore e il suo  aspetto.

Eccone alcuni esempi:

Rosa di Banks             =   Bellezza nel riso e nel pianto;
Rosa del Bengala o
delle quattro stagioni   =  Compostezza nell’anima , Bellezza nella   prospera e        nell’avversa  fortuna, Felicità rinnovata;
Rosa bianca                             =   Silenzio, Mistero, Segretezza, candore ed Innocenza;
Rosa borraccina 
(con petali dentellati)   =   Bellezza capricciosa;
Rosa canina                =   Indipendenza, Poesia;
Rosa Cannella             =    Maturità precoce;
Rosa Cappuccina        =   Splendore, Pompa;
Rosa centifoglia           =   Grazia e Leggiadria;
Rosa di Cina                =   Conciliazione;
Rosa gallica                 =   Semplicità e Letizia;
Rosa gialla                   =   Vergogna, Infedeltà;
Rosa muschiata           =   Caducità della Bellezza;
Rosa multiflora             =   Fecondità;
Rosa dai petali verdi     =   Speranza;
Rosa pompon               =   Cortesia;
Rosa thea                      =  Gentilezza;
Rosa variegata              =   Amore tradito.

 

LA ROSA PER…:

 

  • Omero diceva che  la dea del mattino, Aurora,  ad ogni alba colorasse il mondo con le sue dita di rosa.
  • Dante, paragonava l’intensità e  la bellezza dell’amore paradisiaco al centro di una rosa.
  • Shakespeare affermava che: “Una rosa con un altro nome avrebbe il medesimo profumo”

 

LA ROSA IN CUCINA

 

La rosa, la regina dei fiori che è divenuta il simbolo del mese di   maggio e, qualsiasi sia il suo tipo, colore, essa suscita sempre sentimenti profondi non solo legati alla bellezza.
Gli antichi romani  la consideravano un fiore molto gradito agli dei Mani, le anime dei trapassati divinizzate e sentitamente  onorate  con  libagioni, con cibarie,  con offerte di fiori tra cui primeggiava la rosa.
Per questo motivo, i personaggi facoltosi, per testamento, stabilivano che i loro giardini dovevano essere coltivati  a rose    da  cospargere con abbondanza  sulle loro tombe, nell’anniversario della loro morte: la rosa, il  simbolo della prodigalità della natura, ma anche  della transitorietà della vita e dei suoi piaceri.
Tra essi, nel mondo romano, quello del palato  che si era, nel tempo,   arricchito  di sapori e di  gusti  e facendo proprie ricette provenienti dal suo immenso impero.
E così accadeva anche per Aquileia “la seconda Roma”  che, certamente, non si sottraeva  a nuovi  sapori e prelibatezze.
Le rose erano, ancora, erano le  immancabili protagoniste nelle feste e nei convivi.
Con esse ci  si cingeva  la testa, il collo ed il petto quando nei banchetti, si stava per gustare i vini più rari , spesso  contenenti i loro petali con cui, peraltro,  si erano coperti anche i triclinium.
Ma le rose, come del resto altri fiori tra cui le viole e la lavanda, furono ingredienti importanti in cucina e, come descritto da Apicio  nel suo libro “ De re coquinaria”, erano usate  non solo per aromatizzare il vino o l’aceto …
Anche la cucina  aquileiese , tra i suoi piatti, annoverava un soufflé (patina) alle rose la cui ricetta, scritta da Apicio, è riportata ne  “A tavola con i Romani” – Aquileia romana-  di S. Scarel  e che, forse, non è proponibile ai nostri giorni.
Ma torniamo a ricette  più vicine ai gusti attuali.
Siamo a maggio e, quindi, vorrei proporre un piatto molto semplice ma veramente gustoso, pur se delicato,  che si rifà all’uso della rosa in cucina.
Indorare una noce di burro in cui si fa  soffriggere, con  la buccia  grattugiata del limone (solo la parte gialla), il petto di pollo tagliato a listarelle molto sottili, leggermente infarinate.
Dopo  qualche minuto   salare le listarelle che saranno ormai quasi dorate, annaffiarle con un buon tocai e, volendo, aggiungere  pepe bianco  di Caienna, appena macinato.
Mentre il vino sta evaporando a fuoco vivo, aggiungere una manciata di petali di rose (una rosa o quattro roselline  per ogni petto di pollo) accuratamente lavati.
Mescolare  delicatamente e servire  su crostoni di pane caldo, accompagnando il tutto con un ottimo sauvignon dai sentori floreali.
Gustiamo la primavera in tavola:
un  omaggio raffinato di “Sua Maestà la Rosa” che diletta, meravigliandoci ancora, anche il nostro palato.

 

Che dire?
La rosa è una vera regina.