Magda Minotti
Mai: mês dai cavalîrs....
La Seta
Celate in fragil bacolo
Per mari e per deserti,
portava un umil monaco,
l’ova del filugel.
Un imperante provvido
drizzò que’ passi incerti
ed emulo alla porpora
creò tesor novel.
Sotto il bel cielo italico
sulle trinacrie sponde
Il sol, la terra, i zeffiri
il gelso fecondar:
I vermicelli serici
ne divorar le fronde
e culla tomba e carcere,
il bozzolo formar.
Quinci sui clivi espandersi
fur visti bachi e gelsi…
Culture nuove e metodi
Che l’esperienza addita
Si si pubblicaro e in numeri
ordigni consegnar:
ampie officine sursero
e la magione avita
i doviziosi e i nobili
al verme spalancar…
Terra di Forogiulio,
d’Italia estremo lembo,
anche tue sete fulgide
ricerca lo stranier…
ode di G.D.Ciconi 1802-1868)
L’allevamento del baco da seta fu introdotto in Europa, verso il 550, da due monaci dell’ordine di san Basilio che, ritornando a Costantinopoli dalla Cina, avevano nascosto le uova dell’animaletto nel cavo di canne di bambù che fungevano da bastoni da viaggio.
Verso la fine del 1600, per merito dello scienziato ed economista Antonio Zanon, anche il Friuli divenne terra di coltivazione del gelso, nonché il maggiore produttore di seta d’Europa.
Ancor oggi il gelso, il morâr, originario della Morea, penisola del Peloponneso in cui era coltivato, caratterizza il paesaggio delle nostre campagne di cui ne delimitava le proprietà.
Alcuni esemplari di questi alberi, ai quali si mantiene ancora la tipica forma a “pennello rovesciato”, si trovavano nei cortili delle vecchie case contadine con una funzione ben precisa: erano la riserva di foglie, nel caso si fosse impossibilitati ad andare tai cjàmps a prendere quelle necessarie al pasto serale dei bachi. ,
L’importante coltura dal cavalîr scandiva maggio, mese deputato alla vita e, probabilmente, il baco prende questo nome dal fatto che, nelle fredde case dei contadini, l’unica stanza con la temperatura costante, era quella dei bachi che mangiavano continuamente e per di più…a ufo.
Meritavano, dunque, cure particolari che alludevano al doppio senso del vocabolo:
“I cavalîrs a àn il non cun se”.
I bachi facevano quattro mute (a duarmin de prime, de seconde e de tierce ‘te grisiolis -i graticci-) e, ad ognuna d’esse, per toglierli dal letto (cagulis e fueis secjis), veniva usata della carta forata con buchi in crescendo, secondo la grandezza dei bachi.
Nel loro primo stadio di crescita, essi stavano in cucina sul grisulin, mentre, nella seconda e terza fase, una stanza liberata per l’occasione, li ospitava a temperatura rigorosamente costante di diciotto gradi, su lis grisiolis.
Nella prima fase di crescita dei bruchi, le tenere foglie del gelso venivano tagliate con una taglierina in modo che essi, pur se piccoli, potessero nutrirsi più facilmente.
Successivamente, si somministravano intere per arrivare, poi, ai rametti.
Dopo la terza muta, la jevade, i bachi ormai grossi e quasi pronti alla loro metamorfosi, venivano portati nei granai preventivamente liberati dalle granaglie e puliti con accuratezza.
Gli eventuali buchi des suriis o des pantianis, erano otturati con un impasto di calce morta e buiacis di vacje e i vetri rotti, venivano aggiustati con fogli di carta attaccati cu la cole di farine di flôr.
In questo stadio della vita, i cavalîrs venivano messi sul pavimento o appesi sui filons.
I bachi divenuti grossi e voracissimi, esigevano, ogni tre o quattro ore, foglie fresche che essi mangiavano ad una temperatura costante di diciotto, venti gradi.
Sant Pancrazi, Sant Servazi, Sant Bonifaci:
l'Invier dai cavalîrs.
Se questa si fosse abbassata, i bachi avrebbero mangiato di meno e, se la foglia fosse stata bagnata o se ci fosse stato un caldo umido, i cavalîrs a levin in vacje... diventando gonfi, gialli e putrefacevano, infettando gli altri.
Se il locale non era ben disinfettato, i bachi andavano in stuc , cioè la pupa moriva nel bozzolo, deprezzandolo.
Le attività relative alla coltura del baco, coinvolgevano tutta la famiglia, che lo allevava in rapporto ai gelsi posseduti.
Grandi e piccini dovevano collaborare a questo scopo poiché gli adulti, oberati dal lavoro nei campi, dovevano “adeguarsi” anche alle necessità vitali dai cavalîrs.
I fruts, anche se a volte per gioco, raccogliendo lis fueis, tagliandole, offrendole in pasto, davano un grande aiuto ai familiari già tanto impegnati.
L’ultimo pasto della faticosa giornata, avveniva verso le dieci di sera, quando ogni componente della famiglia con il suo fascio di foglie, lasciava l’aia per raggiungere il granaio dove veniva posato delicatamente sui filons.
Poi, finalmente, a durmî!
Questo sonno ristoratore era necessario per la routine quotidiana ma, soprattutto, per la necessità di guardare a vista i bachi per scoprire il primo di loro che, rifiutandosi di mangiare alzando la testa (a son sul volt de sede), segnava il momento di mettere a filâ.
Per avere la certezza di essere nei tempi giusti, il cavalîr veniva guardato in controluce e, se il tratto sottogola era trasparente e giallo, voleva dire che la sede era pronta ed i bachi avevano bisogno di salire sui riçs fatti col seleâr (paglia lunga della segala – siale- messa a ventaglio).
I bachi ormai pieni di seta, salivano sui “ricci” e iniziavano a fare il bozzolo (filâ ).
Questa operazione (siarâ i cavalîrs) era publicizzata al massimo per fare invidia a coloro che “erano in ritardo” e che passavano ancora con le foglie di gelso sul carro.
Dopo sette-otto giorni di attesa, ecco i bozzoli completati che si dovevano togliere dal “letto” e mondarli de spelaie.
Si procedeva poi, alla scelta dei più belli (chei di 1ˆ cualitât), dividendoli da quelli non completi (falope o bavele), oppure dai doplons o dai maglâts....
Il giorno del conferimento all’essiccatoio dei bozzoli, messi in sacchi su le briscje o su la carete guidata dal capofamiglia e dai fruts più grandicelli, era molto importante.
Arrivati all’ essiccatoio, i sacchi venivano pesati con la stadera. Il responsabile li faceva aprire da lis bigatinis (filandaie) e controllava il contenuto.
Oltre l’incidenza diretta sull’economia della famiglia, il cavalîr dava lavoro a centinaia di ragazze nelle filande dove veniva fatta la prima operazione di svolgere il filo di seta dal bozzolo.
Lavoro faticosissimo, questo, che obbligava a stare tutto il giorno in ambienti caldo-umidi e con le mani sempre nell’acqua calda.
Il baco portava i primi guadagni dell’anno alle povere famiglie contadine che si “ossigenavano” un po’ per le spese di gestione dando anche una magra “soddisfazione” per il mese più faticoso dell’anno.
Spiace vedere che, dopo secoli di coltura che caratterizzava la nostra terra, la prima vittima del benessere è stato proprio lui, il cavalîr quello che, tra l’altro, era una pietra miliare per i nuovi amori:
“Si son impromitûts sui cavalîrs
e si son sposâts te vendemis!”
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