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AGOSTO MAGICO Le notti di una volta erano veramente deserte e silenziose. Tutto taceva nel buio più profondo che solo i lôfs e i laris osavano affrontare. Ogni rumore, quindi era amplificato. Molto prima dell’alba de lune di Avost, il frastuono delle ruote dei carri ci svegliava di soprassalto. Era il momento giusto per tagliare il fieno del prato naturale stabile. “ Agne Dele, affacciandosi alla finestra diceva: ”A son i setôrs! ”. I coloni dei conti Otellio e Florio, infatti, venivano a falciare i prati situati tra il confine di Pradamano, Udine e Remanzacco. Erano nuclei familiari al completo, con masserizie e viveri necessari per parecchi giorni. Si accampavano in prossimità della roggia, sotto un tiglio od un acacia secolare…Le donne fissavano il treppiede di sostegno ae cjalderie per fare subito la polente e poi scioglievano le balle di paglia con cui preparavano i giacigli per il riposo. I ragazzi e i bambini, invece, badavano agli animali che, liberati dai finimenti (il comat e il jôf), pascolavano tranquilli dopo aver preso dimestichezza con il nuovo ambiente. Gli uomini, fissata la lama dal falcilut al falciâr, attaccato il codâr ( cuar di bo) con dentro la côt par uçâ ( pietra ferrosa di Resia), prendevano posizione per il taglio del prato. Il compito di affilare le lame con lis batidoris, era affidato ad una persona anziana ed esperta che si sistemava in un posto tranquillo dove al faseve il fîl a lis lamis battendole con un martello sul “batidôr” conficcato nel terreno. Il prato naturale era composto da moltissime specie di vegetali ( tra queste la logliella – solium perenne- il scuâl ) che fiorivano dalla primavera all’estate formando una tavolozza di colori solari. Tra queste piante vivevano moltissimi insetti che ora sono quasi scomparsi. Si incontrava , immobile tanto da ingannare gli occhi più esperti, la verde mantide religiosa ( çupiate sasine ) che mangiava subito dopo l’accoppiamento, il piccolo maschio … Ci si imbatteva, inoltre, in tanti tipi di zupets o di grilli che tentavamo di catturare senza rovinarne le elitre canterine. Con un fros di jerbe tentavamo di far uscire il gri de tane. Nel caso in cui l’insetto fosse refrattario ad uscire, riempivamo la sua tana con la pipì… Che dire del bellissimo cervo volante dal color blu metallico, delle farfalle variopinte e des mariutinis, le coccinelle considerate ancora un portafortuna . Ecco il sborf (ramarro), lis lisiartis ed il topo campagnolo che, con il toporagno ( musan) era preda del falcuç dalla vista acuta e dalle eleganti parvenze. Ma ci affascinavano anche la temibile magne, il cjarbon e il madrac e le bisce in genere! Sul prato ben nascoste dal fieno, nidificavano le allodole (odule o odule cjapielote), il fasan , la pernîs e le prelibate quaglie. Quando i setôrs si imbattevano in un nido di questi volatili, non falciavano il fieno tutt’intorno, formando così tante piccole isolette nel mare del prato falciato. All’imbrunire i lavoratori, stremati dalla fatica, si riunivano sotto il grande tei (tiglio) e si rifocillavano con polenta e con il latte “fornito” dalle mucche al seguito. Il formaggio era onnipresente come in ogni pasto che fosse tale. Le stelle ed i grilli (lis stelis e i grîs), con il canto del cuc e dal rusignûl, permettevano un meritato e ristoratore riposo a chi aveva tanto faticato. Il lavoro riprendeva al mattino seguente dopo aver attaccato il ristielon al cavallo. In questo modo il fieno poteva essere raccolto in corèe (lunghe file di fieno parallele) e l’eventuale rimasuglio veniva recuperato con la ristiele di legno. Il fieno, poco pesante ma voluminoso, veniva trasportato con un carro dotato di scjalâr di latis (carro rustico dal grande letto fatto di assi incrociate), su cui troneggiava una persona veramente esperta ad aggiustare il fieno in modo da controllarne la stabilità. Il carico, infatti, arrivava molto più avanti de scjalete e molto più indietro dai sperons. Tutto veniva trattenuto dal jubâl (grossa pertica) che veniva ben stretto dalle corde dal tuluin ( verricello). Il carro, così, poteva prendere la via di casa lasciando una scia di profumo di fieno essiccato al sole, dando una sensazione unica di fragranza e di bontà che solo la natura può dare”. I ricordi di Giuliano Zucchiatti ci riportano ancora in una realtà che, a volte, ci pare velata da una patina irreale. Non è così. Anch’io ne ho ben vivi alcuni legati all’infanzia vissuta in estate li di none Sunte. Le notti agostane, quelle della caduta delle stelle che, secondo la tradizione coincideva con la notte di san Lorenzo, sono ancora presenti con la loro magia. La mente fantasticava liberamente, pensando al concretizzarsi di rosei futuri di sogno. Così, stesi sull’erba con in bocca un filo d’erba che le labbra muovevano a mo’ di antenne di grillo, liberavamo la mente guardando nel blu. Adulti e bambini si abbandonavano in fantastici voli e speranze che si sarebbero concretizzate con il magico cader delle stelle: emozioni irripetibili, veramente irripetibili. Accanto al fantastico, ecco i proverbi che scandivano i tempi, gli eventi e le attività di questo magico mese:
“Se al plûf il mês di Avost,
“ Se al plûf a Sant Laurinç ( 10/8 ),
“A Sant Laurinç il lat al va cul buinç
“Sant Laurinç:
“Se al plûf il dì de Sense ( 15/8 )
“La ploie de Madone
“ A la Madone di Avost,
“Sant Roc ( 16/8 ) i da la clâf a ogni pitòc
“A Sant Roc
“Se a Sant Bartolomio ( 24/10 ) al è bon timp,
“A Sant Bartolomio
“Se a Sant Bartolomio al jeve il soreli clâr,
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