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di Magda Minotti

Magda Minotti

 

Il nostro  novembre con…
                                                         …San Martino

 

Se, di fatto, era ottobre il mese in cui terminava l’annata agraria, l’undici novembre, giorno di san Martino (1),la concludeva formalmente, così come veniva concepita e organizzata dalla società rurale esistente fino agli anni 50.
Tutti i raccolti erano riposti nel magazzino o nel granaio, nel fienile e nella cantina.
Questo era il momento del consuntivo, che dava alla famiglia la possibilità di programmare e organizzare esclusivamente l’economia domestica per i mesi a venire, giacché, per l’eventuale rinnovo del vestiario ultra rattoppato e rivoltato dei componenti della famiglia, s’era usato il danaro ricavato a maggio, dalla vendita dei bozzoli.

“Sant Martin mi tente
che o fasi la polente.
Sant Martin mi taie
che o fasi la fertaie.
Sant Martin mi dîs di dut
par che o fasi il mastelut.”
 

 
Filastrocca tradizionale

La ricorrenza di questo santo rappresentava la Sierade vera e propria, la “chiusura” ufficiale di una stagione agricola che, però, racchiudeva in sé, nel rincorrersi infinito del tempo, una nuova vita.

Il frumento appena seminato, cullato dalla terra madre stava iniziando, pur se lentamente, il suo cammino verso la germinazione.                                                                             Questa giornata, un tempo festiva in tutta Europa, rappresentava sì la chiusura dell’anno agrario, ma anche una sorta di suo nuovo inizio, un Prindalan, analogo al capodanno celtico, Samhain, che cadeva il primo novembre e che era festeggiato sino agli ultimi tepori dell’autunno.

Per la nostra tradizione, questi tepori furono denominati “Istadele di Sant Martin”, l’estate di san  Martino, ultimi scampoli di sole prima dei rigori invernali.                                         La leggenda narra del sole miracolosamente ricomparso a riscaldare la terra ed anche  Martino che, avendo donato metà del suo mantello ad un mendicante sotto le cui spoglie si celava Gesù, stava viaggiando tra i rigori di una pioggia gelata e  battente.

Se il ciclo “vitale” della natura si era momentaneamente chiuso e non c’era più bisogno di braccia nei campi,   la vita sociale, giuridica e amministrativa riprendevano a tutto ritmo.

Riapriva l’attività del Parlamento, dei tribunali, si svolgevano le eventuali votazioni comunali. Venivano saldati i canoni d’affitto e le tasse in genere (la prediâl), si rinnovavano i contratti agrari e si risolvevano i rapporti di mezzadria restituendo la clâf al paron.
Così intere famiglie, con le povere masserizie e le poche derrate possedute, migravano in altre aziende. Contemporaneamente, altri nuclei famigliari, provenienti spesso da altre regioni, occupavano quelle lasciate libere.

“Fâ Sant Martin” (2), quindi, significava cambiâ paron, traslocare…
Al di là da la aghe, cioè nella destra Tagliamento, si diceva:

“San Piero (3) visa
e San Martin manda fora!“

I sotans, “ripuliti” i campidi ciò che era stato lasciato sul terreno, aspettavano nelle misere case il ritorno della bella stagione, quando avrebbero ripreso il lavoro di braccianti agricoli.
Non servono parole per commentare ciò che ai nostri occhi appare una cosa impossibile… Eppure il tempo de “L’albero degli zoccoli “ non è lontano.
Per San Martino riprendevano anche le scuole:

“San Martino va a palazzo
con il libro sotto il braccio,
e per dir la sua ragione
san Martino è andato in prigione”

Un tempo –ricordate?- di uno scolaro che doveva sostenere gli esami di riparazione si diceva: ”E’ stato rimandato ad ottobre, proprio perché la scuola iniziava a novembre.
Data fondamentale, anche sotto l’aspetto alimentare l’undici novembre e san Martino era una ricorrenza oltre che religiosa, anche festosa (4) e “godereccia”…
Il vin gnûf, la farine gnove pe polente, la raze, il dindi, la ocje (5), i cacos, la coze, i rauts e la bruade…

“Ocjis , cjastinis e vin
a son plats di Sant Martin”

“Chi no magna l'oca a San Martin nol fa el beco de un quatrin!” “San Martino:
polenta con farina nuova
e anche vino”

San Martino rappresentava la svinatura e, sino a tale data, non si spillava il vino:

Par Sant Martin
il most al è vin"

Lo ricorda anche un’antica leggenda friulana che parla del santo.
Martino, braccato da soldati romani di cui era stato ufficiale, si salva perché un contadino friulano lo nasconde in una botte vuota, nascosta tra le tante piene della sua cantina.
Gli inseguitori aprono a casaccio le botti piene e, collaudandone il contenuto, si ubriacano per bene consentendo al santo di fuggire, non prima di assicurare all’agricoltore che il vino sarebbe stato sempre buono se avesse…”riposato” sino all’undici novembre!

“Sant Martin
in cantine al bôl il vin”

 “A Sant Martin,
lasse la aghe e bêf il vin”

 Par Sant Martin
in dutis lis botis si cerce il vin! ”

In questo periodo, che rappresentava la fine dal lavôr dai oms intai cjamps, iniziava   il vueit agrari di cinque mesi circa, che sarebbe terminato a febbraio.
Ora iniziavano le attività prettamente femminili e, oltre al gugjâ, al cusî e al  ricamâ, ora si cambiavano, nei pagliericci a grosse righe bianche e blu o bianche e marrone, i scus vecjos de blave, con i cartocci nuovi:

“A San Martin i puls i cambia pajon”

Si riprendeva l’usanza di far file o filò (6),la veglia che i contadini facevano ogni sera, dopo cena, sino a mezzanotte, nel calduccio delle stalle:

IN FILE

Discurìnt poi des filères,
par chés  stàles dòngie i buus,
van filànt dùtes les sères
un sièt vot mazzui di fuus,
ciacarànt d’ogni fantàte:
no savès ché, c’a ciol chel …
ciare vò….mi pâr c’a è mate,
che no ‘ndà piz di cervièl!
Les nuvizzes po contante,
che saràn chest carnevâl,
e di lôr simpri slengante:
ché fâs ben,l’altre fâs mal.
E cussì par ogni file
si discôr di zoventût,
e di duc’ ju fàs de vile
che savê lor àn podût.
I ùmin poi stàn ciacarante
su  le grèpie sentâz
o la vàcier o il bo laudante,
discurinte di merciâz.
E cussì l’unviâr va vìe cul s’cialdàsi un pôc par luc,
o in te stàle o in ostarìe,
o in te cove o dòngje il fuc.  


Florendo Mariuzza (1766/1854)

 

E alore lis stalis cui filò , si trasformavanoin luoghi ambiti anche dai zovins par podê fevelâ amalncul cui voi, cun Mariute o con Vigjiut.

“Se to mari fos contènte,
se to pari contentàs
vorès dami del coràgjo,
vicinâmi pas a pas”


da “La vita in Friuli “ di  V. Ostermann  (1841/1904)

L’amore è davvero senza tempo…

 

NOTE:
(1)=  Martino nacque in Pannonia, l’attuale Ungheria, intorno al 315 d. C. dopo l’editto che fu un promulgato nel 313 da Costantino, imperatore d'Occidente, e Licinio, imperatore d'Oriente, per porre termine a tutte le persecuzioni religiose, comprese quelle nei confronti del cristianesimo. Giovanissimo, si arruolò nell’esercito romano delle Gallie e, battezzato, chiese di essere esonerato dal servizio poiché, disse, quale  soldato di Cristo, non poteva far guerra. Dopo numerose vicissitudini fu nominato vescovo di Tours ma, di solito,  risedette nel monastero di Montmoutier, da lui fondato alle porte della città. Da qui, l’Apostolo delle Gallie- così fu chiamato- diffuse il cristianesimo e, da subito, pur non essendo martire, fu venerato quale santo.Morì l’otto novembre del 397 e l’undici dello stesso mese data nella quale è commemorato, si celebrarono le sue esequie.                                                                                                                                                                

(2)= Pochi santi furono legati alla stagionalità ed alle sue conseguenti vicende sociali come Martino, tanto che Fâ Sant Martin era un’espressione usata da tutti e ricordata ancora dai nostri anziani: traslocare.

(3)=Il padrone dava preavviso di soluzione del contratto il 29 giugno, mentre nel vicino Veneto, lo faceva donando un pollo a Pasqua.

(4)=importante ricordare anche che la celebrazione del santo avveniva con feste e fiere, soprattutto quelle degli animali, soprattutto di quelli “munite” di corna…

E, per questo motivo, probabilmente san Martino, oltre ad essere patrono dei soldati e dei viaggiatori, è ritenuto anche quel dei… cornuti.

(5)= La tradizione di considerare l’oca, un animale tipico di questo periodo risale, forse, ad una leggenda che narra come il santo, non volendo accettare di diventare vescovo di Tours (era l’anno 371), si nascose in campagna ma le oche, starnazzando, ne rivelarono il nascondiglio.                        

Secondo altri le oche di Martino sarebbero legate a quelle sacre dei Celti che, accompagnavano le anime nell’aldilà.

(6)= Probabilmente il termine file o filò, indicava il lavoro femminile svolto dalla maggioranza des feminis inte stalis, il filâ, il filare, appunto.